Prima di capire e conoscere le differenze tra Charas e Burbuka, è necessario premettere che qui si sta parlando di hashish. Il quale non è altro che una sostanza derivata dalle infiorescenze femminili della canapa. Hashish, un nome che deriva dalla lingua araba, un nome che riconduce immediatamente al “fumo”. Sbagliando però, poiché gli usi dell’hashish sono molteplici e molto antichi.
Il Charas è un tipo di hashish, appunto. Quindi si tratta di un prodotto esclusivo attraverso l’estrazione della resina di canapa. Particolare da sottolineare è come il Charas sia di origine prevalentemente indiana. Affascinante come viene estratto: si raccoglie la resina delle piante di canapa e si strofinano le mani sulla parte inferiore. Proprio sulle infiorescenze della pianta ancora fresca. Successivamente si raschia il materiale dalla pelle, e così che si formano delle palline. Pura poesia. È grazie a questo tipo di lavorazione che il Charas possiede un profumo, un aroma molto simile alla canapa verde. Questo grazie alla sua alta concentrazione di THC.
E già qui c’è una sostanziale differenza con il Burbuka. La sua lavorazione, infatti, consiste nello stacco dalle infiorescenze essiccate da piante morte, attraverso la loro percussione. Una percussione potente. Il Burbuka rappresenta una varietà di hashish estremamente pregiato. Raffinato, direi. La sua “poesia” nasce quando viene scaldato. Lui “frigge” come se non ci fosse un domani, a causa della grande quantità di olio. Il Burbuka è, senza dubbio, uno dei pochi hashish marocchini lavorati a mano.
Tornando al Charas, c’è da dire che esso risulta essere un concentrato della resina ricavata dalla parte superiore delle cime della pianta cristallizzate. Tutto questo grazie alla purissima aria che si può respirare nelle impetuose vette dell’Himalaya. Addirittura può indicare, producendo la resina, il suo difendersi dalle continue variazioni di temperatura. Variazioni causate da fortissime piogge e da lunghe ore di sole.